
LONGARONE FIERE
Via del Parco 3, Longarone (BL)
www.longaronefiere.it
WEB ART - Viale XXIV maggio 11
31100 Treviso - www.webartmostre.it
T. 0422 430584 - M. 328 4851819
Direzione artistica: Franco Fonzo
Italia

“Naturali armonie”
© ARTE FIERA DOLOMITI - LONGARONE FIERE (BL)
Nato nel 1929 a Casarsa della Delizia (PN), dove tuttora risiede e lavora.
Ha iniziato a lavorare fin da giovane nel laboratorio fotografico del padre. Ha acquisito una vasta esperienza tecnica e ha maturato il suo modo di leggere le opere d’arte e di esprimersi attraverso la fotografia, segnatamente nel paesaggio. Nella ricerca costante di nuove tecniche e di nuove forme di linguaggio per immagini fece parte dal 1955 al 1965 del cineclub di Udine. Realizzò vari documentari, a passo ridotto, premiati al Concorso Nazionale del Cineamatore di Montecatini e al Concorso Internazionale del Cineamatore di Salerno. Dal 1955 al 1960 fece parte del circolo fotografico “La Gondola” di Venezia. Nel 1963 partecipò come fotografo di scena al film “Gli ultimi” di Vito Pandolfi e Padre D. M. Turoldo. Nel 1963 a Milano collaborò con Luigi Crocenzi alla realizzazione della “Fondazione Arnaldo e Fernando Altimani per lo studio e la sperimentazione sul linguaggio per immagini”
Numerose le sue mostre fotografiche in Italia e all’estero. Molto significative l’antologica del 1999 voluta dai Civici Musei e dal Comune di Udine nel grandioso spazio espositivo della Chiesa di S. Francesco e quella promossa dal Comune di Padova, nel 2002, nel Palazzo del Monte di Pietà. Nel 2004 la Provincia di Pordenone e il Comune di Casarsa della Delizia promuovono una mostra di sue nuove fotografie raccolte in dittici e trittici e per l’occasione viene anche promosso il convegno sul collezionismo fotografico: “La memoria ambigua”.
Ha ottenuto premi e riconoscimenti, tra i quali, limitando la citazione ai più recenti: 1991 Casarsa, Cittadini dell’anno; 1992 Londra, Premio Kraszna Krausz per il fotolibro “Assisi”, a pari merito con i libri di Sebastian Salgado, Paul Strand e Irving Penn; 1993 Pordenone, Premio San Marco; 1995 Spilimbergo, C.R.A.F. Premio Speciale Friuli Venezia Giulia.

Prima del fotografare viene il vedere, il guardare, l’osservare, il contemplare. Un’attività poco considerata che richiede capacità, concentrazione, allenamento e che si affina con l’esercizio. Il fotografo “sa vedere” o “vede quello che gli altri non vedono”, si sente spesso dire. In effetti la pratica della fotografia allena a una osservazione meno superficiale dello sguardo veloce e distratto a cui la vita contemporanea ci ha abituato o costretto.
Oltre a saper vedere, il fotografo è allenato a considerare l’importanza della luce, fondamentale per la buona riuscita dell’immagine, capace di “tirar fuori” o nobilitare un soggetto altrimenti insignificante e di dare tridimensionalità (illusoria) a un mezzo di per sé bidimensionale.
Tutte queste “regole” Elio Ciol le conosce e le pratica da una vita, avendole apprese da giovane da suo padre e avendole poi sperimentate con meticolosa passione anno dopo anno.
Ma fotografare, oltre che possedere questa perizia, vuol dire scegliere cosa vedere e, nel vedere, scegliere cosa inquadrare. È un fatto di scelte. E le scelte non sono fatte dagli occhi ma dal cervello, dal nostro pensiero. È per questo che le fotografie sono in qualche modo e in certa misura una sorta di autoritratto di colui che le realizza.
Guardando le fotografie (cioè le scelte) di questa cartella si percepiscono sensazioni di pace, quiete, silenzio, armonia, serenità e tutto ciò non può non essere anche nella mente e nella personalità di Ciol, un autore capace di togliersi dal caos, dal rumore, dalla frenesia, per distillare immagini vestite soprattutto della bellezza della serenità.
È una fotografia in controtendenza: viviamo un periodo in cui sembra che valga la pena puntare l’obiettivo solo sul brutto, sullo sfascio, sul degrado e questo finisce con l’aumentare il senso di disagio nel vivere in un mondo sempre meno ospitale, sempre meno armonioso, in cui vediamo la natura sempre più offesa e maltrattata.
Messaggi di negatività o forse voglia di denuncia per uno stato di cose che non ci sta bene e che vorremmo cambiare. In questo panorama il lavoro di Elio Ciol è come una boccata di aria sana e pulita, come quella dei luoghi da lui ripresi. Questo è lo specchio della sua personalità che nasce, a dir suo, anche dalla “fortuna” di vivere in un luogo in cui gli orizzonti sono ancora ampi e la natura è ancora capace di stupirci. In realtà, una delle sue abilità è anche questa, quella di saper cercare, trovare e fermare paesaggi ancora genuini che, abbelliti dalla cosmesi della luce che lui sa cogliere, riesce a mettere in ordine padroneggiando la sintassi delle forme. Una bellezza selvaggia, quella della natura, sempre più a rischio, a causa del dissennato addomesticamento da parte dell’uomo. Una bellezza che lancia una sfida, però, a non cadere nel cartolinesco e a cercare un rinnovamento che non può e non deve essere solo estetico, ma anche sintesi visibile di un cambiamento d’identità che viene da dentro.
I paesaggi di Elio Ciol, pur essendo un inno a un armonioso mistico equilibrio, non sono mai eroici come quelli di Ansel Adams o Edward Weston, a cui spesso sono stati paragonati, ma invece visioni elegantemente semplici e dotate di un silenzio particolare. Quel silenzio necessario per “ascoltare la luce” come recita il titolo di uno dei suoi libri, e necessario anche per sintonizzarsi e catturare le energie positive della natura che si manifestano come testimonianza del soprannaturale.
È sì importante il risultato strettamente fotografico inteso come produzione di una “bella” immagine, ma non va assolutamente sottovalutata la relazione che attraverso il medium l’autore instaura con l’ambiente nel quale opera e che solo in minima parte finisce inquadrato nel suo mirino. A questo proposito Marshall Mc Luhan parla di “trascendentalità” che ogni forma tecnologica si porta dietro, e la fotografia, più ancora di altri mezzi, non sfugge a questo principio.
Ma la sfida raccolta dall’artista non viene solo dall’ambiente naturale: Ciol indaga il rapporto fra architettura e paesaggio, fra elementi artificiali e spazi naturali. Un connubio che dà luogo a nuovi significati e che lui riesce magistralmente a interpretare con la sua particolare propensione all’armonia: le foto si presentano come un tutto ben organizzato in cui le forme si sostengono e si bilanciano tra loro. In tutto ciò l’uso del bianco-nero svolge un ruolo fondamentale. Semplifica la visione e la astrattizza, questo si sa, ma Ciol a questo aggiunge la sua personalissima pratica dell’infrarosso, del cui impiego è stato pioniere, che sfrutta, anche se con calibrata misura, per la sua valenza onirica e surreale.
La visione acquista contrasto, profondità, dettaglio, i cieli si scuriscono, le nuvole si stagliano e la vegetazione vibra; certi prati e cespugli sembrano “friggere” di luce.
“Le pietre raccontano” è il titolo di un altro dei suoi lavori, ed è proprio vero. In queste immagini, soprattutto quelle urbane e di architettura, la materia pietra, comunemente ritenuta fredda e inerte, diventa viva, parlante, emozionante, sia quando è grezza e ruvida sui muri, sia quando nei ciottolati è liscia e levigata dall’acqua dei fiumi e lascia scivolare la luce come una carezza. La fotografia di Ciol è molto spesso una fotografia che vibra e fa vibrare: parla il linguaggio dei ritmi, dei chiaroscuri, dei pieni e dei vuoti. Così l’obiettivo registra balaustre, scalinate, cancellate, rami, fronde e filari che diventano una speciale e assolutamente moderna maniera per rimisurare il circostante e riconsiderare la nostra pratica del vedere: un ottimo antidoto contro l’usura del nostro sguardo distratto. Appare evidente comunque, che il cercare istanti di armonia nel caos che spesso ci circonda non vuol dire ridurre la realtà sensibile a puro stimolo emotivo, scegliendo con un occhio estetizzante, ma piuttosto sforzarsi di vivere la fotografia non solo per “creare” ma anche e soprattutto in funzione del mirare e ammirare. Fotografare con forza contemplativa cercando i valori spirituali che si sovrappongono ai motivi naturali. Fotografare per ascoltare e amare il cuore del mondo.
Guido Cecere - Pordenone, ottobre 2005

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