MARIO VIDOR

“Faroe”le Isole nella Nebbia”

Mario Vidor è nato nel 1948 a Farra di Soligo. Dalle prime esperienze pittoriche negli anni Ottanta, la sua attenzione si è in seguito focalizzata sulla fotografia. Dal 1982 la sua personale ricerca - partendo dalla lezione dei maggiori maestri dell'immagine di questo secolo - si sviluppa in due direzioni: l'indagine storicoscientifica e il linguaggio creativo. Alla sua prima pubblicazione "Sulle terre dei Longobardi" (1989), sono seguiti numerosi altri volumi di fotografia, e alcune singolari cartelle foto-litografiche. A Pontremoli nel settembre del 1992, con il libro "Semplicemente Italia" ha ricevuto il Premio bancarella. Altri premi da menzionare: a Padova per la miglior fotografia veneta (1996) il Premio "Carlo Goldoni", a Macerata, il Premio "Territorio Odissea 2000"(1998), per il libro "Le torri di Babele" e, a Orvieto nel marzo 2002, con il libro "Pagine Bianche", si è classificato primo nella categoria "Fotografia Creativa" e a Garda (VR) nel maggio 2003 ha ricevuto il riconoscimento B.F.I. dalla FIAF e nel nel 2014 il riconoscimento A.F.I. e nel 2018 il riconoscimento I.F.I. Ha tenuto numerosissime mostre personali (oltre 300) nelle principali città italiane e all’estero in Francia, Germania, U.S.A., Repubblica Popolare Cinese, Croazia, Austria, Slovenia, Canada, Russia. In particolare: Frame O’Rama, New York (USA); Sicof Cultura, Milano (I); Mostra Internazionale della Fotografia, Parigi (F); Samara Art Museum, Samara (RU); Il Diaframma, Milano (I); nei musei croati di Albona, Fiume, Pinguente, Rovigno e Zagabria; Photokina, Colonia (D); Centro Internazionale d’Arte Contemporanea, Pechino (CINA); Associazione Culturale Italo-Tedesca, Venezia (I); Fondazione QueriniStampalia, Venezia (I); Spazio Olivetti, Venezia (I); Charles Scott Gallery EmilicarsInstitute of art e design, Vancouver (CA); Museo Wagner, Bayreuth (D); nei musei ucraini di Vinnitsya, Tulchyn, Ladyzhyn; ed a Arles (F) in occasione del Mois de la PhotografieGalerieduCréditMutuel. Sue opere sono conservate nelle collezioni di musei e gallerie: Diaframma, Milano; Museo Civico di Vittorio Veneto; Fondazione QueriniStampalia, Venezia; Musei croati di Albona, Pinguente, Pisino, Rovigno; Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi; Fondazione Internazionale delle Arti Contemporanee di Pechino, Charles Scott Gallery EmilicarsInstitute of art e design di Vancouver in Canada, alla Biennale di Brescia, a Mosca, Russia, SavvinskajaNaberezhnaja Gallery, a Samara, Russia, (Samara Art Museum), a Omsk, Russia (Omsk Gallery), alla Biennale di Venezia e al Centro Culturale Candiani di Mestre (VE

“Faroe”le Isole nella Nebbia”

L’arcipelago delle Faroer, il cui nome, derivante dall’antico norvegese-vichingo “Faar oy”, significa “isole delle pecore, è una nazione formata da un insieme di isole stagliate nell’atlantico, ed è uno dei paesi nordici più remoti. Come i cocci di un vaso caduto a terra, le Faroer sono composte da 18 pezzi di isole frastagliate e connesse tra loro da ponti, traghetti, elicotteri e tunnel, e regalano un paesaggio tanto drammatico tanto quello islandese, ma condensato in uno spazio minimale. Strade perfette abbracciano le montagne, cascate impetuose si tuffano direttamente nell’oceano e montagne brulle adornano una terra bagnata da piogge e venti incessanti per ben 260 giorni all’anno. Tempeste imponenti frastagliano la costa e si abbattono sulle pareti di basalto che si ergono dal mare come fortezze di dimore abbandonate; qui dimorano migliaia di uccelli marini che, con il loro stridire, interrompono il silenzio della solitudine ed il costante sibilo del vento. Da queste terre nacquero le leggende dei Grigi, della donna foca Selkie ed altre favole che si intrecciano alla realtà in maniera inquietante. Le limitate risorse, le fredde temperature anche in piena estate, le lunghe notti invernali e l’incapacità del suolo di adattarsi all’agricoltura, creano un equilibrio precario. Sebbene la vastità di pianure verdi che si interrompono gettandosi nel mare, le case sono disposte l’una affianco all’altra, come a sottolineare il bisogno di allearsi contro la natura, in una costante lotta per la sopravvivenza. Le Faroer sono popolate da 50.000 persone che vivono di pastorizia; la dieta è ricca di pesce ed agnello; nessuna parte dell’animale viene risparmiata, anche la testa della pecora viene cotta e gustata durante le serate di festa. La cultura, a volte cupa e quasi spaventosa, sembra riflettersi in ogni aspetto della quotidianità, dalle leggende alla gastronomia. La tradizione dell’essicazione di carne e pesce è ancora in voga, tanto quanto lo sterminio delle pulcinelle di mare e la mattanza delle balene. Durante il Grindadráp, il mare si tinge di un rosso innaturale, e la popolazione delle Faroer si riversa sulle spiagge a sventrare i cetacei, in una tradizione dove l’alleanza degli abitanti trionfa sovrana, come a giustificare tale usanza come un doveroso atto di sopravvivenza nei confronti di una natura minacciosa, ed un futuro incerto. Da un’isola all’altra il paesaggio va a ricordare un quadro di Turner, dove l’essere umano diventa una figura insignificante nei confronti della natura, ed è destinato a perire. L’isolamento dal resto dal mondo si nota nei visi segnati dal vento e dalle intemperie, e pochi sorrisi, sebbene un’educata gentilezza, accolgono il visitatore incerto. Affamati di calore, I paesani si gettano danzanti nelle strade al primo raggio di sole, come ad approfittare di un attimo che potrebbe non ripetersi. Un’aria di precarietà e solitudine pervade il viaggio, ed ogni immagine risulta cupa ed estranea, come le carrozzine lasciate incustodite al di fuori delle case, le strade deserte della capitale appena dopo il tramonto ed il fitto conglomerato di nuvole che si gettano dai picchi delle montagne e vanno ad inglobare tutto ciò che trovano, come il Nulla nel famoso film di Michael Ende, “La storia infinita”. Mario Vidor nel suo libro ha caparbiamente deciso di rappresentare in bianco e nero una terra dalle mille sfumature di verde, volendo sottolineare i contrasti di colori in un modo drammatico, quasi a catturare l’essenza stessa dell’isola. I piccoli paesi avvolti nella nebbia e gli archi di roccia frastagliati che si ergono dal mare diventano protagonisti, rappresentati nella loro imponenza e caducità. Le spiagge isolate e le strade dei paesi appaiono vuote, come se le persone avessero dimenticato di vivere in queste terre remote; solo qualche animale sembra ravvivare il paesaggio, dando una parvenza di normalità ad una terra altrimenti così inospitale. Mario cerca di catturare questo: una terra difficile, ma spettacolare nella sua natura, l’orgoglio di una popolazione silenziosa, che continua nella sua lotta quotidiana senza nessuna pretesa. Un paese diverso nella sua cultura e nelle sue credenze, eppure estremamente affascinante all’occhio del fotografo. Ed accade nei rari momenti in cui il tramonto colora di porpora le montagne intonse e cala il silenzio della sera, che le Faroer vengono avvolte da una cortina di magia e di immortalità; e proprio in quegli attimi queste isole lasciano un’impronta nel cuore, impossibile da cancellare. Claudia Vidor